IL PICCOLO MONDO DI MADRE DILETTA (Prima parte)

Carissimi amici e cari visitatori del mio blog, insieme agli amici di WorbasStudio ed ai primi lettori del romanzo “GLI INSORGENTI DEL BASSO PO”, abbiamo pensato di pubblicare un Prequel a puntate che ci aiuterà calarci meglio nel triennio giacobino 1796-1799, l’epoca in cui accaddero le vicende (vi ricordiamo che il romanzo è tratto da una storia realmente accaduta) di cui si narra nel libro.
Buona lettura, e se vi piace lasciate un vostro commento, grazie!
A.F.

IL PICCOLO MONDO DI MADRE DILETTA
(Prima Parte)

“Nessuno in monastero seguiti il proprio volere. Né ardisca veruno di venire a proterva contesa coll’Abbate, o dentro o fuori del monastero. Che se l’abbia fatto, sia sottoposto alla pena della Regola. Esso Abbate però faccia tutto con timore di Dio e osservanza della Regola; sapendo ch’egli fuor di dubbio dovrà rendere conto a Dio, giudice di tutti i suoi giudizi”.
(San Benedetto da Norcia)

Un falco volava alto nel cielo azzurro, si librava nell’aria sfruttando la calda spinta delle correnti ascensionali.
Con le ali spiegate disegnava larghi centri concentrici, timonando con le lunghe penne della coda, e ad ogni giro saliva sempre più in alto, sempre di più, verso il sole caldo e lucente. Una pace assoluta, quasi irreale, aleggiava sulle verdi campagne assolate e pianeggianti che si estendevano a perdita d’occhio davanti alla finestra alla quale era affacciata Madre Diletta. Niente e nessuno pareva turbare la quiete del piccolo eremo del quale era la Badessa, ciò non ostante in cuor suo non era affatto tranquilla. Alla mattina, come ogni lunedì, si era recata al mercato di Ferrara – di buon’ora, come suo solito – a vendere le pregiate cuffie ricamate e gli altri corredi lavorati a maglia dalle sue consorelle, e ad acquistare qualcosa per la dispensa del monastero. Ma quello che aveva sentito raccontare in città l’aveva turbata profondamente. Le avevano raccontato che un grosso contingente dell’esercito francese, partito da Milano, quartier generale di Napoleone in Italia, aveva occupato la città di Mantova e si stava dirigendo verso il fiume Po. Aveva sentito parlare di numerose violenze ed uccisioni, di tassazioni al limite del sopportabile ed altre vessazioni nei confronti della popolazione e del clero. Ma quanto c’era di vero in tutto quello che aveva sentito raccontare? Questo non poteva saperlo, e in cuor suo sperava di non conoscere mai la verità «Non è detto che vengano a proprio a Ferrara», pensava «Magari si accontentano di rimanere a nord del grande fiume…» ma il suo sesto senso le diceva che qualcosa di brutto, di molto brutto stava per succedere. Allontanò quei pensieri negativi e si recò presso la cappella a pregare, per sé e per le sue consorelle, delle quali era responsabile. Pregò per le vittime della guerra e affinché il dolore e le violenze, che aveva già colpito tanti innocenti in modo così brutale, e che si stava avvicinando al suo piccolo mondo che era così semplice e ameno, restasse chiuso fuori dal portone del suo convento. Rimase in preghiera a lungo… La regola Benedettina, seguita dalle monache del convento della Beata Vergine del Poggetto, era la più rigida di tutti gli altri ordini monacali, fin dai tempi di Santa Scolastica, la fondatrice dell’Ordine.
L’ora nona era già scoccata, pertanto le monache iniziarono a dedicarsi ai lavori manuali quotidiani: chi si recò nell’orto, chi in mensa, chi in sala ricamo, chi nel giardino del Chiostro. I lavori quotidiani sarebbero continuati fino ai Vespri, le preghiere del tramonto.
Madre Diletta era indecisa se raccontare alle consorelle quanto aveva appreso in città, ma poi decise di non turbare la quiete dell’eremo per quelle che potevano essere solo dicerie, per quanto molto verosimili. Si ripromise però di approfondire la cosa quanto prima.
Era il maggio del 1796 e l’Armee d’Italie, guidata dal giovane Generale Napoleone Bonaparte era avanzata rapidamente nel territorio italiano. Dopo aver sconfitto i piemontesi a Mondovì e l’esercito austriaco a Milano, i francesi marciarono a tappe forzate su Bologna, dove entrarono il 18 giugno. Il 23 giugno fu la volta di Ferrara, dove nel frattempo si era già propagata la voce dell’arrivo imminente degli invasori con le loro repressioni e requisizioni. La municipalità cittadina, dopo aver ponderato il da farsi, decise infine di accogliere l’armata francese aprendo le porte della città, onde evitare spargimenti di sangue e ritorsioni sulla popolazione. Questo atteggiamento benevolo, però, non salvò né i governanti, né tantomeno gli abitanti della città estense, dal pagare un ingentissimo tributo alle truppe napoleoniche. Gli invasori avevano infatti la necessità impellente di sfamare le truppe e procurare sempre nuove armi e munizionamenti per continuare la Campagna d’Italia. Intanto, a Bologna, Napoleone riesce a strappare un armistizio allo Stato della Chiesa: Bologna e Ferrara diverranno possedimenti francesi, mentre Ravenna resterà al Papa. A Ferrara, inizialmente, gran parte della nobiltà agraria e dell’alta borghesia vedeva di buon occhio le nuove idee portate dalla rivoluzione francese, anche perché molto ben pubblicizzate nei circoli intellettuali attraverso la propaganda sulla stampa e gli altri mezzi di divulgazione utilizzati dalle logge massoniche. In seguito, però, di fronte alla brutale realtà che superava di gran lunga ogni proclama e buona intenzione, alcuni tra i più fervidi giacobini iniziarono a ricredersi. Tra le prime imposizioni impartite dal Direttorio Provvisorio Dipartimentale, fu stabilita la decadenza dei titoli nobiliari e la soppressione di ogni ordine religioso. I monasteri dovevano essere requisiti e destinati a caserme o stalle per i soldati e i cavalli dei reggimenti francesi. I beni ivi contenuti, ori, argenti, reliquie, dipinti, statue ed altre opere d’arte, furono confiscati e inviati a Parigi, dove, dopo essere stati messi in vendita, con i guadagni si finanziavano le campagne di guerra francesi ormai estese per mezza Europa. La Rivoluzione doveva essere propagata per tutto il vecchio continente.

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